Le memorie di un pazzo (1835) appartiene al ciclo pietroburghese di Gogol' e mette in scena, con tono insieme comico e tragico, la discesa nella follia di un piccolo impiegato. Attraverso la forma diaristica, lo scrittore scompone l’io del protagonista fino a mostrarlo come prodotto di una macchina sociale che umilia, isola e, alla fine, spezza. Il racconto è un laboratorio linguistico e strutturale in cui realismo amministrativo e fantastico grottesco si intrecciano fino all’indistinguibilità.
Trama essenziale
Il protagonista, un modesto funzionario che sogna un riscatto sociale, annota giornalmente pensieri e accadimenti. La sua attenzione si concentra sulla figlia del direttore e su futili segnali di distinzione, invidiando gradi e uniformi. Il registro si incrina quando egli afferma di aver letto delle lettere scambiate da due cagnoline: un episodio che introduce l’elemento fantastico come se fosse perfettamente normale. Da lì, il diario precipita in date impossibili e in deliri di grandezza, fino alla proclamazione: egli sarebbe il legittimo re di Spagna, “Ferdinando VIII”. La conclusione, in un istituto di cura, suggella la rottura definitiva con il mondo.
La forma-diario come dispositivo narrativo
Il diario, genere che promette autenticità e prossimità alla coscienza, diventa in Gogol' uno strumento di disorientamento. L’io che scrive non fornisce garanzie: si contraddice, frattura la sintassi, smarrisce la cronologia. La fiducia del lettore viene progressivamente erosa dal modo in cui la pagina registra il distacco percettivo. La prima persona, invece di avvicinare la realtà, la deforma.
- Temporalità scomposta: la successione di date illogiche (giorni inesistenti, mesi reinventati) rende visibile l’implosione del tempo interiore.
- Lessico oscillante: alternanza di burocratese, vezzi mondani e lampi visionari, come se registri diversi forzassero la stessa gola.
- Tipografia mentale: trattini, esclamazioni, ripetizioni e scarti logici segnalano le “scariche” del pensiero, più che un racconto degli eventi.
Società e follia: la patologia come prodotto storico
Il crollo psichico non è un fatto puramente clinico: nasce dal contesto. La Tabella dei ranghi dell’Impero, con il suo intrico di gradi, uniformi e precedenze, fornisce la griglia simbolica del desiderio del protagonista. L’ossessione per il rango e lo sguardo altrui fabbricano un io che coincide con la divisa che indossa. Quando l’investitura sociale manca, il soggetto tenta un’autoinvestitura regale: il delirio colma il vuoto della dignità negata.
La città—Pietroburgo—non consola: è un paesaggio di corridoi ministeriali, salotti inaccessibili e strade che riflettono l’anonimato. È un ambiente “a specchio” in cui il protagonista cerca segni di riconoscimento e riceve solo referti di insignificanza.
Satira del burocratico e invenzione fantastica
Il comico gogoliano non è puro intrattenimento: è un bisturi. L’episodio delle lettere dei cani, di per sé assurdo, è narrato con tono protocollare, come verbale d’ufficio. Questo scarto produce un effetto satirico doppio: ridicolizza tanto la credulità del protagonista quanto la lingua autorevole che pretende di contenere l’assurdo. La burocrazia, che dovrebbe garantire ordine, accoglie l’irrazionale senza accorgersene—o meglio, lo traduce in modulistica.
Gogol' mostra che, in un mondo in cui l’istituzione ha colonizzato linguaggio e percezione, anche l’impossibile è amministrabile.
Identità, desiderio, riconoscimento
Il nucleo tragico del racconto è la domanda: “Chi sono agli occhi degli altri?”. L’innamoramento del protagonista per la figlia del direttore non è tanto erotico quanto gerarchico: desidera essere visto da chi incarna il potere simbolico. Quando l’immagine di sé crolla, la psiche produce una finzione di sovranità. Non è un capriccio: è un disperato tentativo di recuperare agenzia. La follia appare come ultimo dispositivo narrativo dell’io per non ammettere la propria irrilevanza.
Realismo, grottesco, tragico: il “tono misto”
L’arte di Gogol' sta nel mescolare registri: il realismo dell’ufficio, il grottesco delle situazioni (cani epistolari, titoli inventati), il tragico della segregazione finale. Questo “tono misto” non offre catarsi: la risata si strozza in gola. Il lettore oscilla tra compatimento e fastidio, tra il riconoscere se stesso nei piccoli risentimenti del protagonista e il prenderne le distanze di fronte all’idiozia. La riuscita del racconto dipende proprio da questa ambivalenza.
Lo spazio pietroburghese come mappa mentale
Pietroburgo, città costruita per decreto e geometrie, si riflette nella mente del protagonista come un reticolo di regole e segrete scorciatoie. Corridoi, anticamere, anticamere delle anticamere: la topografia amministrativa diventa topografia della coscienza. L’ordine esterno accentua il disordine interno, fino a che il protagonista tenta di sovrapporre una mappa alternativa—quella del proprio regno immaginario.
Confronti interni all’opera di Gogol'
- Il cappotto: un altro piccolo impiegato travolto dall’ordine sociale; lì l’umiliazione produce un fantasma, qui un re apocrifo. In entrambi i casi, la giustizia non è di questo mondo.
- Il naso: autonomia del segno rispetto al corpo e dell’emblema rispetto alla persona. Il rango abita l’uniforme più che l’individuo.
Questi rimandi mostrano un progetto unitario: smascherare l’ideologia del rango attraverso figure comiche che, portate all’estremo, si rivelano tragiche.
Strategie stilistiche
- Idioletto burocratico: formule di cancelleria trapiantate in contesti intimi, effetto di straniamento.
- Progressione paratattica: frasi accodate, scarti improvvisi, come se il pensiero corresse a balzi.
- Oggettualità feticistica: attenzione a uniformi, accessori, simboli di status; gli oggetti “parlano” più dei personaggi.
- Comicità per accumulo: ripetizioni, dettagli irrilevanti che diventano decisivi nella logica delirante.
La follia come critica della razionalità moderna
La diagnosi di Gogol' anticipa un tema novecentesco: la follia non come pura alterazione organica, ma come rovescio della razionalità amministrativa. Il protagonista non evade dal sistema: lo mima, lo parodia, lo porta al parossismo. Dichiararsi “re di Spagna” è, paradossalmente, l’unico modo di parlare una lingua di potere inaccessibile. La tragedia sta nel fatto che tale lingua, una volta pronunciata, non restituisce la persona ma la esilia.
Attualità del racconto
In una società ancora segnata da metriche di valutazione, gradini di carriera e riconoscimenti performativi, Le memorie di un pazzo conserva potenza critica. La logica del “rango”—oggi tradotta in titoli, badge, punteggi—continua a definire chi è visibile e chi non lo è. Il racconto ci interroga: quanto delle nostre identità è negoziazione con lo sguardo gerarchico? E quali finzioni mettiamo in campo quando tale sguardo ci ignora?
Conclusione
Gogol' costruisce, con la forma del diario e il tono misto di grottesco e tragico, la parabola di un io fabbricato dal potere e distrutto dalla sua stessa imitazione. Le memorie di un pazzo non offre consolazioni: ci lascia con la sensazione che la realtà, se filtrata da linguaggi autoritari, possa diventare più assurda di qualunque delirio. È proprio in questa vertigine — nel punto in cui ridiamo e, subito dopo, proviamo vergogna per la nostra risata — che il racconto trova la sua grandezza.